ABNORMITÀ DELLA CONDOTTA: IL CONFINE DELLA RESPONSABILITÀ DATORIALE

Inevitabilmente, la complessità dell’odierna realtà aziendale sta gradualmente mutando le dinamiche che coinvolgono gli attori nel rapporto di lavoro.

Senza dubbio, il c.d. rischio d’impresa a cui l’imprenditore si espone è oggi amplificato a causa del sempre più intricato bilanciamento tra doveri del datore di lavoro e diritti riconosciuti al lavoratore dipendente, in modo particolare con riguardo alla disciplina dettata dal D.Lgs. 81/2008 in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Invero, il dialogo in tema di normativa antinfortunistica è indissolubilmente connesso agli obblighi che la legge impone al datore di lavoro e, di conseguenza, al rapporto che intercorre tra questi e i diritti attribuiti al lavoratore.

In particolare, l’attuale Testo Unico impone in capo all’imprenditore, quale organizzatore dell’attività aziendale, l’onere di adottare le misure di prevenzione e protezione necessarie ad assicurare un’adeguata tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Più nello specifico, egli non dovrà limitarsi a disporre quelle cautele da lui ritiene sufficienti, bensì dovrà spingersi oltre, fino all’adozione delle tecniche ritenute più efficaci nel preservare l’integrità fisica e psicologica del lavoratore, guardando alla tipologia delle mansioni svolte in azienda, nonché strizzando l’occhio all’avanzamento tecnologico.

La ratio a fondamento dell’intera disciplina è decisamente intuitiva: colui che presta la propria attività lavorativa, sia essa manuale o intellettuale, deve essere messo nelle condizioni di poter operare in totale sicurezza.

Da ciò ne consegue che, ogni qualvolta si tratti di malattia professionale o infortunio sul lavoro, il primo ad essere chiamato a rispondere è proprio il datore di lavoro. Invero, egli è il capo dell’azienda, il soggetto apicale al quale il D.Lgs. 81/2008 riconnette i più severi obblighi a presidio dell’integrità psico-fisica del lavoratore.

Lo stesso concetto trova limpida espressione all’interno del Codice Civile, all’art. 2087, in cui si afferma che:

L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Ciò vale a non escludere la responsabilità datoriale anche quando la condotta del lavoratore, seppur rientrante nelle proprie mansioni, sia tale da caratterizzarsi per scarsa avvedutezza ovvero poca diligenza.

Tant’è che:

nessuna efficacia causale (…) può essere attribuita al comportamento negligente o imprudente del medesimo lavoratore infortunato, quando l’evento sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente” (Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, Sentenza 25 gennaio 2021, n. 2848).

D’altra parte, la disciplina risulta sufficientemente precisa da permettere di tracciare un confine, oltre il quale la responsabilità dell’imprenditore viene esclusa o grandemente limitata. Tale condizione viene individuata nella imprevedibilità dell’evento-infortunio, frutto di una condotta “abnorme” del lavoratore.

Il concetto di “abnormità” della condotta è stato oggetto di diverse pronunce che, di fatto, ne hanno permesso una definizione. Invero, con l’aggettivo “abnorme” si qualifica il comportamento del lavoratore che non sia meramente imprudente, bensì totalmente difforme rispetto dalle prassi aziendali, dalle regole di buona tecnica e delle specifiche istruzioni che erano state impartite al lavoratore.

In altre parole, ci sarebbero gli estremi per ipotizzare un’esclusione (anche totale) della responsabilità datoriale, ma solo ove si accerti che, anche in adozione delle misure di protezione e prevenzione più all’avanguardia, anche nel perfetto adempimento dei doveri di controllo del datore di lavoro, l’evento dannoso non solo sarebbe stato imprevedibile, bensì addirittura:

tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia” (Corte di Cassazione, Sentenza 18 maggio 2018, n. 22034).

Al fine di comprendere con maggior chiarezza il filo sottile su cui si muove il ragionamento del Legislatore, utile può risultare la sentenza n. 2848 del 25 gennaio 2021 depositata dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Il fatto in oggetto riguardava il danno fisico subito da un lavoratore intento a pulire una macchina pellettatrice priva di sistemi di sicurezza. L’evento originava dal fatto che, nel momento in cui il lavoratore apriva il coperchio per pulirla internamente e vi infilava la mano, la macchina risultava ancora in moto per inerzia.

Nonostante la tesi della abnormità della condotta sostenuta dal datore di lavoro dinanzi alla Suprema Corte, questa decise di rigettare il ricorso, confermando come la responsabilità per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose, commessi da organi apicali attraverso la violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, “può essere esclusa soltanto dimostrando l’adozione e l’efficace attuazione di modelli organizzativi”.

Nel caso di specie, infatti, la Cassazione evidenzia come si trattasse di un lavoratore esperto che, operando all’interno dei confini delle mansioni affidate, realizzava un’attività di pulizia del macchinario necessaria per garantirne l’efficienza.

Quindi, non essendovi i presupposti per delineare un nesso causale tra la condotta del lavoratore e l’evento dannoso, la Corte ravvisava che, ove la macchina fosse stata dotata di un temporizzatore, l’evento non si sarebbe verificato.

Da questa pronuncia si evince la rigidità della Suprema Corte nel valutare l’eventuale sussistenza dei presupposti per considerare “abnorme” la condotta del lavoratore.

Difatti, non è sufficiente che questi abbia agito in modo negligente o senza le dovute accortezze, poiché il primo sguardo dell’organo giudicante è sempre diretto a verificare il rigoroso rispetto della disciplina antinfortunistica dettata dal D.Lgs. 81/2008.

In conclusione, affinché si possa parlare di “abnormità”, il lavoratore deve porre in essere un:

comportamento imprudente (…) posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro” (Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, Sentenza 25 gennaio 2021, n. 2848).

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